Ulisse e le Sirene. Omero immagina le Sirene come uccelli con testa di donna. Soltanto nei secoli successivi si affermò l'idea che la Sirena avesse un corpo di pesce. |
Origini della Letteratura. Poesia e Prosa
La letteratura è l’insieme
delle opere scritte con uno stile bello e con contenuti interessanti.
La letteratura si
distingue in prosa e poesia. La poesia è più antica perché è caratterizzata da
una serie di tecniche che servono a ricordare a memoria il testo, quindi è una
forma di arte precedente alla scrittura, anche se nella nostra epoca ormai è composta
per iscritto. La poesia è caratterizzata dal verso, cioè il rigo della poesia
composto da un determinato numero di sillabe e con accenti prestabiliti che
danno al testo un ritmo ben riconoscibile. La tecnica poetica comprende anche
le rime. Ovviamente nella traduzione di una poesia da una lingua ad un’altra,
si perdono le caratteristiche poetiche.
Facciamo un esempio con
l’inizio della Divina Commedia di Dante Alighieri, il capolavoro della poesia
italiana:
Nel mezzo del cammin
di nostra vita
(undici sillabe, accenti su 6° e 10° sillaba)
Mi ritrovai per una
selva oscura
(undici sillabe, accenti su 4° e 10° sillaba)
Che la diritta via era
smarrita (undici
sillabe, accenti su 4° e 10° sillaba, rima con “vita”)
Ci sono persone che hanno
imparato a memoria tutta la Divina Commedia, che conta ben 14.233 versi.
Il poema più lungo nella
storia dell’umanità è il Mahabarata, che appartiene alla letteratura dell’antica
India, scritto in sanscrito, conta oltre 200.000 versi.
La prosa, invece, riproduce
il nostro modo normale di esprimerci in quanto non ha necessità di regolare il
numero di sillabe impiegate, accenti, ecc. Sulla pagina si riconosce perché la
scrittura riempie i righi. La prosa esiste da quando è stata inventata la
scrittura.
Gran parte della letteratura
antica, sia in prosa che in poesia, è ormai scomparsa. Soltanto l’invenzione
dei libri a stampa nel XVI secolo ha consentito la conservazione delle opere
letterarie attraverso i secoli. La letteratura più antica al mondo che è
possibile conoscere è quella dei Sumeri e degli Egizi, che hanno inventato la
scrittura per primi intorno al 3.000 a.C.
Epopea
di Gilgamesh
L’Epopea di Gilgamesh è il
più antico poema epico conosciuto.
Un poema epico è un genere
di poesia che narra in molte migliaia di versi miti o leggende del passato,
dove protagonisti sono divinità ed eroi.
Il testo dell’Epopea di
Gilgamesh è stato scoperto su dodici tavolette d’argilla in scrittura
cuneiforme in lingua babilonese, trovate nella biblioteca reale di Ninive
(Iraq), antica capitale dell’Impero Assiro. In realtà l’opera originale, in
lingua sumera, è ben più antica, cioè del 2000 a.C. circa, ma ne rimangono
pochi frammenti. Il protagonista del poema è Gilgamesh, quinto re di Uruk,
probabilmente un personaggio storico anche se certamente non ha compiuto le
incredibili imprese qui narrate. Era considerato figlio della dea Ninsun e del
re di Uruk Lugalbanda, dunque per due terzi dio e per un terzo uomo. La città di Uruk, di cui Gilgamesh secondo la
leggenda aveva costruito le mura e il tempio di An ed Ishtar, eiste realmente.
Essa è una della più antiche al mondo, citata anche nella Bibbia come Erech;
attualmente la località si chiama Warka ed è in Iraq.
Trama dell’Epopea di Gilgamesh
Gilgamesh, re sumero di Uruk, è un guerriero crudele, che
maltratta un popolo sempre più stanco delle sue prepotenze. Gli dei, dunque,
per punirlo, decidono di creare un uomo in grado di contrastarlo, Enkidu, rozzo e selvaggio.
I due lottano, ma lo scontro finisce alla pari. Meravigliato dalla forza di
Enkidu, Gilgamesh stringe con lui un patto d'amicizia. Decidono di andare
insieme alla Foresta dei Cedri per prelevare il prezioso legno di questi
alberi. A guardia della foresta c'è però un mostro, Humbaba, che i due riescono a sconfiggere.
Gilgamesh viene corteggiato da Ishtar, dea della
bellezza e della guerra, che vorrebbe sposarlo. L’eroe però la rifiuta, visto
il triste destino dei passati amanti della dea. Allora Ishtar, con l'aiuto di Anu (dio del Cielo e padre di Ishtar) invia contro i due amici un
ferocissimo toro divino di colore blu. Nel combattimento, Enkidu blocca il
selvaggio animale e Gilgamesh gli infila la spada tra le corna, uccidendolo. Offesa,
Ishtar fa morire Enkidu con una terribile malattia. Gilgamesh scopre così per
la prima volta il dolore per la perdita di un caro amico e rimane molto scosso.
Decide dunque di intraprendere un viaggio alla ricerca del segreto dell'immortalità.
Viene a sapere di un uomo a conoscenza di questo segreto: Utanapishtim, molto
vecchio e saggio che scampò, grazie all'aiuto del dio Enki, al diluvio universale, e a cui gli dei fecero il dono
dell'immortalità. Egli vive isolato, al di là dell'oceano della Morte e, dato
il grandissimo segreto che conosce, la sua casa è raggiungibile solo dopo aver
superato molti ostacoli. Gilgamesh riesce a superare ogni prova, tra cui gli
uomini scorpione, giungendo finalmente nel luogo dove vive Utanapishtim.
La delusione di Gilgamesh è, però, grande: il saggio gli risponde che la
morte è inevitabile per l'uomo che, prima o dopo, dovrà lasciare questo mondo.
Gilgamesh, ormai senza speranze, sta per andarsene quando Utanapishtim,
impietosito, gli rivela che c'è un'unica possibilità per l'eterna giovinezza:
una pianta che si trova in fondo al mare. Gilgamesh parte subito alla ricerca
del prezioso vegetale e, dopo averlo trovato, decide di riposarsi sulle rive di
un ruscello. Al suo risveglio, scopre che la pianta tanto preziosa è stata
mangiata da un serpente, che dopo averla mangiata ha cambiato pelle. Sconfitto,
torna così ad Uruk, la sua città.
Nel finale il testo originale è presenta molte lacune, dovute certamente
alla mancanza di alcune tavolette andate perdute. Recentemente sono però state
trovate altre tavolette che raccontano del suicidio di Gilgamesh.
Trama dell’Iliade.
Iliade
e Odissea
Presentazione. Che cosa
sono l’Iliade e l’Odissea.
Iliade e Odissea sono i
più antichi poemi epici d’Europa e sono scritti in greco. Da tali opere ha
inizio la letteratura della civiltà occidentale. Prima dell’Iliade e
dell’Odissea la letteraura greca era soltanto di tipo orale e perciò è andata
perduta, infatti è stata dimenticata man mano che si diffondeva l’usanza di
scrivere i testi letterari. Dunque Iliade e Odissea sono state le prime opere
di poesia tramandate per mezzo dell’alfabeto greco.
Gli antichi Greci
affermavano che l’autore era Omero, un poeta cieco, di cui ignoravano la città
di origine e il periodo in cui era vissuto. In realtà la cecità di Omero
potrebbe essere un’invenzione. Probabilmente i Greci pensavano che il suo nome
derivasse dalle parole: “O-me-oron”
che in greco vogliono dire “Il-non-vedente.”
Questa interpretazione non era casuale. Secondo la cultura di quel tempo il
poeta è un uomo che non guarda la realtà che lo circonda, perciò è cieco, anzi
guarda una realtà di livello superiore, divino, infatti è a contatto con la
Musa, una divinità figlia di Mnemosine (=la dea Memoria), in grado di ricordare
e raccontare al poeta il mito, che per i Greci non è invenzione ma storia sacra.
I Greci ritenevano che il poeta non inventasse nulla, anzi che ascoltasse dalla
Musa una verità di origine divina da cantare in poesia agli altri esseri umani
in occasioni speciali.
Come si svolgeva la poesia
orale prima di Omero? Ne sappiamo qualcosa dall’ottavo libro dell’Odissea, dove
si descrive il poeta Demodoco, anch’egli cieco. Di lui Omero dice: “Molto la Musa lo amò e gli diede il bene e
il male: gli tolse gli occhi, ma il dolce canto gli diede.” Durante il
banchetto, alla corte di Alcinoo, re dei Feaci, Demodoco canta il mito
accompagnandosi con il suono della cetra (fig.1), mentre alcuni giovani
compiono una danza. Egli racconta nell’arco di una serata, dunque in poche
migliaia di versi, un mito dall’inizio alla fine, come la lite tra Ulisse ed
Aiace per le armi di Achille oppure gli amori segreti tra Ares, dio della
guerra, e la bencoronata Afrodite. Il poeta epico, in greco detto “aedo,” che
vuol dire “cantore,” era persino capace di improvvisare l’opera in base al mito
scelto dall’uditorio. Il canto era di tipo orale: non andava letto ma solo
ascoltato perché non si tramandava per iscritto, bensì a memoria, da una
generazione all’altra. Oltre alla corte nobiliare, le festività religiose in
onore degli dei rappresentavano un altro momento importante di canto della
poesia orale.
Rispetto alla poesia
orale, Iliade e Odissea risultano molto diverse. Già i Greci avevano notato la
differenza. Il filosofo Aristotele ha scritto che Omero era nettamente superiore
ai poeti più antichi, quelli di tipo orale. Infatti l’Iliade non racconta un
mito dall’inizio alla fine in poche migliaia di versi da recitare in una serata,
bensì racconta in ben 15.693 versi, divisi in 24 canti, l’episodio dell’ira di
Achille per la morte di Patroclo e tante altre vicende correlate accadute
nell’arco di 51 giorni durante l’ultimo anno della decennale guerra di Troia,
senza che sia narrata la conclusione del conflitto. Altrettanto complessa è la
trama dell’Odissea, che in 12.009 versi, divisi in 24 canti, racconta il
viaggio di Telemaco per 31 giorni alla ricerca del padre Ulisse e 28 giorni del
decennale viaggio di Ulisse stesso dall’isola di Ogigia fino in patria, l’isola
di Itaca, mentre gli eventi dei primi nove anni del viaggio di Ulisse sono
narrati a metà dell’opera quando il protagonista li riferisce al re Alcinoo.
Antefatto
dell’Iliade.
Alle nozze festeggiate
sull’Olimpo per la dea Teti e Peleo re di Ftia, la dea Eris (=Discordia), per
vendicarsi di non essere stata invitata, gettò tra i presenti una mela d’oro,
con su scritto: “Per la più bella.” Subito le dee Hera, Atena e Afrodite
litigarono tra loro perché ciascuna di esse, ritenendosi la più bella, presumeva
di meritare il premio. Zeus, dunque, ivitò le dee a lasciarsi giudicare da
Paride, figlio di Priamo, re di Troia, che aveva la fama di giusto giudice.
Recatesi dal principe troiano, ciascuna faceva promesse per aggiudicarsi la
mela d’oro. Hera promise che sarebbe diventato il più potente tra gli uomini,
Atena promise che sarebbe diventato il più sapiente, infine Afrodite promise
l’amore della più bella donna del mondo. Paride consegnò il premio alla dea
dell’amore. Giunto come ambasciatore a Sparta, dove regnava Menelao, marito di
Elena, con l’aiuto della dea Paride rapì la principessa spartana. A causa di un
tale oltraggio Menelao e suo fratello Agamennone, re di Micene, preparano la
spedizione militare di tutti i sovrani delle varie città greche contro la città
di troia, in Asia. Agamennone fu il capo della spedizione, oltre a lui
parteciparono Nestore re di Pilo, Ulisse re di Itaca, Achille re di Ftia
(figlio di Peleo e Teti), Diomede re di Argo e molti altri.
Trama dell’Iliade.
L’Iliade è un poema epico
di 15.693 versi divisi in 24 canti, che ha per argomento l’ira di Achille
figlio di Peleo, intorno alla quale ruota una serie di episodi che occupano lo
spazio di 51 giorni durante il decimo anno di guerra. Il troiano Crise,
sacerdote di Apollo, si reca all’accampamento greco portando un ricco riscatto
per farsi restituire la figlia Criseide, rapita e divenuta schiava di
Agamennone, che però non la restituisce, anzi scaccia con modi aspri l’anziano
padre. Apollo, adirato per l’offesa a Crise, suscita la peste nell’accampamento
greco. Achille sollecita l’indovino Calcante a rivelare ai Greci riuniti in
assemblea quale dio ha scatenato la peste ed in che modo placarlo. Alla
richiesta di restituzione di Criseide, Agamennone reagisce pretendendo come
risarcimento Briseide, la donna catturata da Achille. In quell’epoca infatti il
bottino di guerra, compresi i prigionieri, era considerato espressione
dell’onore militare, quindi per Agamennone perdere una parte di bottino era
umiliante, equivaleva a perdere parte del proprio onore d’innanzi a tutti gli
altri Greci. Achille, per intervento di Atena, è costretto a cedere la sua
Briseide al suo capo, Agamennone, ma sentendosi pubblicamente umiliato prova
un’ira infinita, per cui si ritira nella sua tenda senza più partecipare alle
battaglie contro i Troiani, che di conseguenza risultano ripetutamente
vittoriosi. A questo punto Patroclo indossa l’armatura di Achille per suscitare
tra i nemici paura e sconcerto. Il piano funziona: i Troiani retrocedono
temendo che Achille sia tornato a combattere, tuttavia Patroclo viene ucciso da
Ettore, figlio di Priamo. Disperato, dopo a ver ricevuto dalla madre Teti una
nuova armatura forgiata dal dio Efesto, Achille ritorna a combattere per
vendicare la morte dell’amico. I Troiani si rifugiano entro le mura della
città, mentre Ettore, rimasto da solo a combattere, è ucciso senza pietà da
Achille, che fa scempio del suo cadavere trascinandolo dietro al proprio carro
da guerra intorno alla città, sotto gli sguardi inorriditi dei Troiani. Infine
il vecchio Priamo, scortato dal dio Hermes, si reca nottetempo alla tenda di
Achille per riscattare il corpo del figlio e così ottiene una tregua di undici
giorni per la celebrazione dei funerali in onore di Ettore. Con la sepoltura
dell’eroe troiano si conclude il poema.
L’Odissea: il titolo e il nome del protagonista.
L’Odissea è un poema epico
di poco più di 12.000 versi, divisi in 24 canti. Essa trae nome dal
protagonista Odisseo, altro nome di Ulisse. Il nome doppio, come nel caso di
Odisseo/Ulisse, si spiega con diversi popoli che si trovano a pronunciarlo.
Odisseo/Ulisse non è un personaggio di origine greca. Anche se si trova nella
mitologia della Grecia antica, in realtà è stato inventato da un popolo che ha
abitato la Grecia in età preistorica, cioè prima che vi immigrassero i Greci, i
quali, ascoltato il nome dell’eroe in una lingua a loro sconosciuta, lo
riportavano variamente in greco: talvota Odisseo, talvolta Ulisse. La loro
incertezza infatti deriva dalla ripetizione di suoni caratteristici di una
lingua precedente. Il nome di Ulisse non ha alcun significato in greco antico. Tuttavia
l’autore dell’Odissea ha ritenuto –erroneamente- di poter mettere il nome in
relazione con il verbo greco odyssomai,
che vuol dire odiare/adirarsi. Il
nome fu infatti suggerito dal nonno Autolico che, essendo stato un briccone, era
particolarmente odiato.
La
trama dell’Odissea.
L’argomento dell’Odissea è
il ritorno di Ulisse al suo regno e alla sua famiglia. Un poeta della
tradizione orale avrebbe raccontato in poche migliaia di versi tutto il
viaggio, durato ben dieci anni, dalla fine della guerra di Troia fino al
ritorno ad Itaca. L’autore dell’Odissea invece compie qualcosa di
straordinario: racconta dapprima le avventure di Telemaco alla ricerca del
padre, distribuite nell’arco di 31 giorni, poi gli ultimi 28 giorni del viaggio
di Ulisse, incastrandoci in mezzo il racconto di tutte le avventure precedenti
narrate dal protagonista stesso al re Alcinoo. Persino la distribuzione
dell’argomento nei vari canti non appare casuale ma presuppone l’uso della
scrittura anziché dell’improvvisazione orale. Infatti il poema risulta diviso
in due parti: nei canti I-XII sono raccontati i viaggi di Telemaco e Ulisse,
nei canti XIII-XXIV si narra l’arrivo dell’eroe ad Itaca e la conseguente
vendetta sui Proci.
Canti I-XIII Dieci anni
dopo la fine della guerra di Troia, tutti i sovrani greci sono già rientrati
nelle loro città, tranne Ulisse, trattenuto nell’isola di Ogigia dalla ninfa
Calipso. Durante un concilio degli dei, nonostante l’opposizione di Posidone
che ha in odio l’eroe, Atena ottiene da Zeus che Ulisse possa tornare in
patria. Pertanto Hermes è inviato a Calipso per ordinargli di lasciar partire
l’eroe, mentre Atena stessa si presenta a Telemaco per convincerlo a partire
alla ricerca di suo padre Ulisse. Pe rfar questo egli deve superare l’opposizione
dei Proci, nobili delle isole circostanti, che, convinti della morte del
sovrano di Itaca, occupano il palazzo reale, ne consumano le ricchezze e
pretendono che Penelope sposi uno di loro. Per guadagnare tempo la regina ha
promesso che si risposerà dopo aver terminato il sudario per l’anziano Laerte,
ma di notte lo scuce quanto ha cucito di giorno. Intanto Telemaco si reca da
Nestore a Pilo e da Menealo a Sparta. Nello stesso tempo grazie ad una zattera,
Ulisse lascia l’isola di Calipso ma posidone scatena contro di lui una
tempesta. L’eroe fa naufragio nell’isola di Scheria, la terra dei Feaci, dove
viene rinvenuto da Nausicaa, figlia di Alcinoo re di quei luoghi. Alcinoo offre
all’eroe una magnifica ospitalità, pur non conoscendo la sua identità. Viene
riconosciuto dopo che si è commosso ascoltando la storia della caduta di Troia
cantata dall’aedo Demodoco. Allora Ulisse, dopo aver svelato la sua identità,
racconta al re e agli altri nobili feaci tutti i pericoli che ha affrontato
dalla fine della guerra sino al suo arrivo nell’isola di Scheria. In
particolare racconta come, pur essendo partito da Troia con 12 navi, abbia
perduto uno dopo l’altro i cari compagni durante varie sciagure: l’incontro con
Polifemo, la sosta nell’isola galleggiante di Eolo il custode dei venti, i
Lestrigoni antropofagi, la maga Circe, la discesa nell’Ade, cioè nel regno dei
morti per consultare l’anima dell’indovino Tiresia a proposito del viaggio da
proseguire, le sirene, il passaggio tra le mostruose Scilla e Cariddi, le
mucche del dio Sole nell’isola di Trinachia, ecc. Alcinoo, commosso dal suo
racconto, gli promette che lo scorterà sino ad Itaca.
Canti XIII – XXIV: Ulisse approda ad itaca,
dove Atena, per renderlo irriconoscibile, lo trasforma in vecchio mendicante.
L’eroe trova lavoro presso il porcaio Eumeo, nella cui capanna ha la
possibilità di incontrare il figlio Telemaco ed organizzare insieme a lui la
vendetta sui Proci. Recatosi alla reggia, è riconosciuto dal fedele cane Argo,
che muore poco dopo, e dalla nutrice Euriclea, che lo identifica da una
cicatrice su una gamba. Il giorno dopo, su consiglio di Atena, la saggia
Penelope, la fedele moglie di Ulisse, annunzia ai proci che sposerà chi tra
loro con l’arco di Ulisse riuscirà a scagliare una freccia attraverso i fori di
dodici scuri allineate. Dopo che tutti i pretendenti hanno fallito nella prova,
il falso mendicante, tra gli scherni dei presenti, ottiene di partecipare alla
gara e subito scaglia la freccia attraverso le scuri. A quel punto, con l’arco
in mano, rivelatasi la sua identità, compie la strage dei proci con l’aiuto di
Telemaco. Infine Ulisse si lascia riconoscere da Penelope, che può così
riabbracciare lo sposo dopo venti anni di lontananza da casa. Il giorno seguente
l’eroe ritrova il padre Laerte, che ormai alloggiava in aperta campagna, e così
lo riconduce alla reggia.
Nota sui viaggi di Ulisse.
Nei canti IX-XII Ulisse
descrive ad Alcinoo tutte le sue peregrinazioni da Troia sino all’isola di
Scheria. All’inizio del viaggio Ulisse si trova in un mondo verosimile, abitato
da popoli come i Ciconi, non appaiono creature mostruose, si tratta certamente
delle coste della Grecia che si affacciano sul mar Egeo. Giunto a Capo Malea,
le navi di Ulisse sono sconvolte da una tempesta insolitamente lunga, di nove
giorni, dopo i quali ci si trova in un mondo immaginario, popolato di creature
e località inverosimili: Ciclopi, Sirene, un’isola galleggiante, la maga Circe,
le rocce Simplegadi, Scilla e Cariddi, l’isola dei Feaci, ecc. Gli antichi
Greci tentarono di localizzare tali luoghi nella realtà. Alcune di queste
identificazioni sono rimaste famose: Circe al Circeo, Scilla e Cariddi nello
Stretto di Messina, Polifemo in Sicilia, l’isola di Eolo in Lipari. Tuttavia
tra gli scrittori antichi non c’è mai stato pieno accordo in proposito. Gli
studiosi moderni, ad una lettura attenta del poema, si soono resi conto che in
verità dopo capo Malea Ulisse e i compagni si trovano catapultati in un mondo
immaginario che non ha alcun legame con la geografia reale. D’altronde un’isola
galleggiante come quella di Eolo poteva venire a trovarsi in qualsiasi angolo
del mondo! Il regno di Ulisse, invece, composto dalle isole Itaca (sede del
palazzo reale), Dulichio, Same e Zacinto, è un luogo reale, ma la descrizione
di Omero non corrisponde esattamente alla realtà geografica, perché
probabilmente il poeta non aveva mai visto tali località di persona. Tuttavia
proprio nell’isola che tuttora si chiama Itaca, l’archeologo Papadopoulos
dell’Università di Ioannina, ha riportato alla luce un palazzo reale del XIII
secolo a.C.
Heinrich
Schliemann
Heinrich
Schiemann fu un uomo d’affari ed archeologo tedesco che, compiendo i primi
scavi archeologici nelle località citate da Omero (Troia, Micene e Tirinto), dimostrò
che l’Iliade si fonda su fatti veri, anche se rielaborati dalla fantasia del
poeta.
Prima degli scavi: Schliemann nacque nel 1822 a
Neubuckow, una località della Germania settentrionale. Il padre, Ernst, un
pastore evangelico, trasmise al piccolo Heinrich l'amore per le civiltà
passate, leggendo i versi dei poemi omerici,
fino ad allora da tutti ritenuti fantasiosi. A sette anni gli venne
regalato un libro di storia per bambini, rimase impressionato dall'illustrazione
di Troia in fiamme ed espresse il desiderio di ritrovare quelle mitiche mura.
Quando Heinrich aveva nove anni, la madre morì dando alla luce il nono figlio. Venne
affidato ad uno zio perché frequentasse la scuola in un’altra città, ma per
mancanza di denaro il padre smise di pagargli gli studi e pertanto Heinrich
dovette mettersi a lavorare come garzone di bottega. Dimenticò quel poco che
aveva imparato. Un giorno fu colpito dalla bellezza di alcuni
versi recitati da un ubriaco, il figlio di un pastore locale espulso da
scuola per cattiva condotta. Schliemann racconta di avere speso gli ultimi
centesimi che gli rimanevano per comprare da bere al ragazzo, purché ripetesse
i versi recitati che lo avevano profondamente colpito tanto da fargli
desiderare di imparare il greco antico. In seguito scoprì che erano versi
dell'Iliade e dell'Odissea. A 19 anni si imbarcò per il
Venezuela, ma la nave naufragò presso le coste olandesi. Heinrich, salvatosi a
stento, fu costretto così a rimanere in Olanda. Trovò impiego presso una ditta
commerciale ad Amsterdam e cominciò, nel tempo libero, a dedicarsi allo studio
delle lingue: l’inglese, il francese, l’italiano, il portoghese, il russo,
tanto che un’altra ditta lo inviò in Russia, dove ebbe tanta fortuna da aprire una
filiale a Mosca. Nel 1850 si stabilì in America per dedicarsi al commercio di
preziosi, arricchendosi enormemente. Tornato in Russia, sposò Ekaterina
Petrovna Lysina. A 34 anni era ormai un uomo ricchissimo e conosceva ben 12
lingue. Il denaro non era più lo scopo della sua vita. Aiutato da un
arcivescovo ortodosso, iniziò lo studio del greco antico per leggere omero
nella lingua originale. Frattanto si ritirò dal lavoro per vivere di rendita e
intraprese un lungo viaggio intorno al mondo durato due anni. Nel 1866 si stabilì
a Parigi per studiare archeologia alla Sorbona, la più illustre univerisità
francese. Pur essendo ricchissimo, provava una profonda solitudine e sentiva di
dover ancora trovare uno scopo alla sua vita: decise di mettersi alla ricerca
della città di Troia. Recando sempre con sé l’Iliade, di cui conosceva interi
brani a memoria, partì per la Turchia. Intanto nel 1869, divorziatosi dalla
prima moglie, sposò la greca Sofia Engastroménos, una parente del suo maestro
di greco antico.
Gli
scavi di Troia: Schliemann
era convinto che la città di Troia si trovasse nella collina di Hissarlik, in
Turchia. Tra il 1871 e il 1873 intraprese la prima grande campagna di scavi. Seguendo
le indicazioni di Omero, il 4 agosto 1872 Schliemann
rinvenne vasellame, utensili, armi e persino le mura e le fondamenta non di una
sola città, quella di Priamo, ma di ben nove città, costruite
l'una sulle rovine dell'altra. Schliemann identificò i resti della città
omerica nella cosiddetta “città bruciata” (secondo strato), dove trovò il cosiddetto
“tesoro di Priamo”. Il racconto della scoperta è rimasto famoso: il
rinvenimento al mattino presto di un grande contenitore di rame nascosto sotto
un muraglione, l’oro che brilla in mezzo alla terra, l’allontanamento degli
operai, lo scavo solitario ed affannoso insieme alla moglie Sofia che avvolge
gli ori in uno scialle e li nasconde in una cesta: diademi, coppe, bracciali,
collane, orecchini… Il tesoro fu clandestinamente trasferito ad Atene e poi donato
alla Germania dopo un lungo processo intentatogli dal governo turco. Conservato
al Museo di Berlino, scomparve nella Seconda Guerra Mondiale, nei giorni in cui
Berlino era occupata e devastata dai soldati Russi ed Americani (1945), per poi
riapparire nel 1993 al Museo Puskin di Mosca. Dalla Germania arrivarono a Mosca
alcuni illustri specialisti: essi assistettero alla riapertura delle casse
contenenti gli ori troiani, che essi avevano creduto scomparsi per sempre. Nel 1996 si
svolsero senza esito trattative per la loro restituzione alla Germania, ma i direttori dei musei russi
dichiararono che dovevano essere trattenuti quali compenso per i danni di
guerra nazisti alle città della Russia. Il tesoro è databile alla prima età del
Bronzo, dunque è di circa 1.000 anni più antico della guerra di Troia, mentre
la Troia omerica è stata individuata da C. Blegen, che ha diretto la missione
americana, nello strato VIIa, databile al 1300-1200 a.C. circa.
Gli
scavi a Micene e a Tirinto:
Nel 1874 Schliemann cominciò ad interessarsi di Micene, guidato ancora una
volta dalla lettura delle fonti antiche. Omero celebrava, infatti, una Micene
ricca d’oro; mentre Pausania, uno scrittore greco del II sec. d.C., descriveva
in dettaglio le tombe degli eroi. Leggendo Pausania, Schliemann riconobbe le
sepolture dei re micenei. Egli trovò un circolo sepolcrale con cinque tombe a
fossa, contenenti alcune maschere d’oro, che riconobbe come i sepolcri degli
Atridi, la famiglia reale di Micene. In realtà si trattava di sepolture più
antiche, appartenenti ad una civiltà precedente a quella narrata da
Omero. Tra il 1884 e il 1885 Schliemann si spostò a Tirinto. Anche in
questo caso la sua guida fu Omero, che racconta nell’Iliade che
nella città regnava Diomede “potente nell’urlo di guerra”. Lo scavo, condotto
ancora con Wilhelm Dörpfeld, portò a liberare la cittadella “ciclopica”
mettendo in luce i resti di un palazzo miceneo.
La
morte colse Schliemann a Napoli nel 1890, mentre aspettava l'autorizzazione
per eseguire nuovi scavi nell'area di Pompei. Fu sepolto ad Atene. Si concludeva
così la storia del povero garzone che, credendo ciecamente nei poemi di Omero,
restituì alla storia le mura di Troia.
.
Fasi
storiche della città di Troia
Antica città, capitale
della Troade,
situata a circa 6 km dalla costa nell’angolo nord-occidentale della Turchia,
presso lo sbocco dei Dardanelli, in un punto strategico all’incrocio dei
passaggi dall’Asia all’Europa, all’ingresso del Mar Nero,
in una regione di miniere di argento. La leggenda indica come fondatore della
città l’eroe Dardano e come costruttori della cinta muraria gli dei Apollo
e Posidone.
·
I strato (3000 a.C.): villaggio dell'Età del Bronzo Antico: utensili
in pietra, abitazioni dalla struttura molto semplice.
·
II strato (2500 - 2000 a.C.): piccola città monumentale, circondata da mura con
porte enormi, un palazzo reale, e case in mattoni crudi distrutte da un incendio. Schliemann suppose che si trattasse della città
di Priamo. A questo strato
appartiene il cosiddetto “Tesoro di Priamo.”
·
III - IV - V strato (2000 - 1500 a.C.): tre città distrutte e ricostruite una dopo
l’altra in poco tempo.
·
VI strato (1500 - 1250 a.C..): grande città edificata su terrazze, fortificata da alte e possenti
mura, di enormi blocchi, con torri e porte. La distruzione della città dovrebbe
essere avvenuta intorno al 1250 a.C., forse
a causa di un forte terremoto.
·
VII a-b strato (1250 – 1200/1100 a.C. ): la città, immediatamente ricostruita (VII a),
ebbe vita breve, perché fu distrutta intorno al 1200 da uno spaventoso incendio.
I superstiti ricostituirono un insediamento nuovamente dato alle fiamme qualche
tempo dopo (VII b), cioè intorno al 1.100 a.C. Dopodichè per circa 400 anni la
collina appare spopolata. L’archeologo Blegen ha identificato in “Troia VII a” la
città omerica. Frattanto, nello stesso periodo in cui i Greci colonizzavano il
territorio e la collina della città antica, un poeta greco concepì l’Iliade.
·
VIII strato (VII - I sec. a.C.): città greca, distrutta
nel I secolo a.C.
·
IX strato (I-V sec. d.C. ): città romana. Dopo il definitivo
abbandono, si persero le tracce della città.
Gli scavi di Troia, dopo quelli di Blegen interrotti nel 1938, sono
stati ripresi nel 1984 da Manfred Korfmann, dell’Università di Tubinga
(Germania). È stato scoperto che la città di Troia VI era molto più grande di
quel che si fosse pensato ed inoltre era difesa da un lunghissimo fossato che
la circondava su tutti i lati.
Disegno ricostruttivo di Troia VII A, la città che i Greci, secondo il mito, potrebbero aver distrutto intorno al 1250 a.C. |
Storicità della guerra di Troia
Gli antichi Greci hanno variamente indicato le date della guerra di
Troia, date che si collocano tutte all’incirca tra 1300 e 1200 a.C. La data più
antica proposta per la caduta della città corrisponde al 1334 a.C. (Duride di
Samo, Timeo di Taormina), la data più recente al 1150 a.C (Democrito di
Abdera), una data considerata valida da molti scrittori antichi è il 1184 a.C.
(Eratostene di Cirene, Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso, ecc.). Partendo
dalle date ipotizzate dagli antichi e dalla totale distruzione della città
intorno al 1200 a.C., Blegen ha giustamente ritenuto di riconoscere la città
descritta da Omero nel settimo livello (VII a). Se la distruzione fosse stata
causata da fattori naturali o accidentali, la città sarebbe rinata grande e
potente come la precedente. Invece rinacque un modesto insediamento (Troia VII
b). Comunque proprio a quella data anche i palazzi reali dei Greci a Micene,
Tirinto, Pilo, Iolco, ecc. furono distrutti da un incendio per non essere mai
più ricostruiti. Con il crollo dei palazzi, tramontò per sempre la civiltà
micenea. Dunque risulta incredibile che gli eroi greci possano aver distrutto
la città di Troia nel periodo in cui i loro stessi regni sparivano per sempre
tra le fiamme. Se i Greci di età micenea hanno combattuto quella famosa guerra,
essa non può essersi verificata intorno al 1200 a.C. né può aver riguardato la
città identificata da Blegen. Per qualche tempo ancora, esistette la piccola Troia VII b, la cui
scomparsa intorno al 1100 a.C non può essere opera dei Greci, perché i loro
regni erano già scomparsi da un secolo. Il mito, dunque, conserva intatta una sua
parte di mistero che non si può restituire alla storia: la guerra di Troia fu
realmente combattuta dai Greci?
Sconvolgimenti nel Mediterraneo Orientale intorno al 1200 a.C.
Intorno al 1200 a.C. acceddero nel Mediterraneo Orientale alcuni eventi
sconvolgenti: distruzione della città di Troia, caduta dell’Impero Hittita in
Asia Minore, crollo della civiltà micenea in Grecia, distruzioni in Siria e a
Cipro, indebolimento dell’impero egiziano. A far luce su questi eventi sono due
fonti scritte egizie: sotto il faraone Merenptah (1230 a.C. ca.) alcune
popolazioni mediterranee non ben identificate si unirono all’invasione dei
libici nel Delta occidentale del Nilo; poi sotto Ramses III (1190 a.C. ca.) un
più consistente gruppo di invasori, i cosiddetti “Popoli del Mare,” arrivò alle
soglie del Delta orientale del Nilo dopo aver travolto i regni dell’Anatolia,
Cipro e la Siria. Gli studi più recenti sembrano dimostrare che a provocare un
tale sommovimento di popoli con conseguente caduta di città e imperi sia stato
un prolungato periodo di siccità e carestie. Finkelstein ha trovato la
soluzione all’enigma storico studiando particelle di polline estratti dal
fondale del lago di Tiberiade: a mettere in crisi quelle civiltà fu una serie
di gravi siccità nell’arco di 150 anni, tra il 1250 e il 1100 a.C. circa. Intorno al 1250 a.C., gli scienziati hanno notato
un netto calo della presenza di querce, pini e carrubi, tradizionale flora del
Mediterraneo, e un aumento delle piante da clima semiarido. Si nota in
particolare una diminuzione degli ulivi, segno di una crisi dell’agricoltura. Il
calo dei raccolti costrinse probabilmente alcune popolazioni che abitavano
nelle regioni settentrionali a migrare in cerca di cibo, magari scacciando
altre comunità che a loro volta si spostarono per terra e per mare. Questa
reazione a catena suscitò guerre e distruzioni e mise in crisi il delicato
sistema commerciale del Mediterraneo orientale.
Micene, la città di Agamennone.
Ho letto tutto quello che c' era scritto riguardo l' Iliade e l' odissea.
RispondiEliminaci può consigliare una versione di quei libri più adatta alla nostra età e quindi un po' meno impegnativa da leggere?
Ciao Riccardo! non ti consiglierò dei banali riassunti in prosa come ne circolano tanti nelle librerie e biblioteche. Quel tipo di semplificazione impoverisce l'epica privandola di ogni fascino. Esistono però due eccellenti traduzioni italiane dei poemi omerici, che hanno il pregio di essere fedeli al testo originale e di essere scritte in un italiano accessibile ai bravi studenti come te. In ogni caso si tratta di una lingua italiana poetica, per cui potrai trovare qualche nuovo termine. Tanto meglio! sarebbe l'occasione giusta per ampliare la propria conoscenza e per affrontare con più facilità le poesie che studierai in seguito. Per l'Iliade si tratta della traduzione di Calzecchi-Onesti nell'edizione Einaudi; invece per l'Odissea consiglio la traduzione di Aurelio Privitera nell'edizione Mondadori. Può darsi che il tuo libro di testo abbia inserito brani tradotti da questi grecisti. Potresti controllare...
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