Qualcosa di utile per genitori e insegnanti


Pagina di riferimenti utili 
per genitori che mandano i figli a scuola


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Se volete un dialogo con i vostri figli,
dedicategli del tempo sin da quando sono piccoli.


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La foto sottostante riproduce il tema scritto da un bambino con dislessia, un fenomeno spesso drammaticamente frainteso da insegnanti e genitori. 

La foto è tratta dal gruppo facebook: Nasce una mamma...seguendo la voce del cuore

Piccolo vademecum on-line per genitori di ragazzi con dislessia:
http://giovannagiacomini.wordpress.com/2011/12/03/piccolo-vademecum-per-genitori-alle-prese-con-bambini-e-ragazzi-con-difficolta-scolastiche/

Video sulla Disgrafia
https://www.youtube.com/watch?v=FZ0v_gAzV2o#t=272
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Come insegnare ai ragazzi a odiare la lettura



1 – Presentare il libro come una alternativa alla Tv

2 – Presentare il libro come una alternativa al fumetto

3 – Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più

4 – Ritenere che i bambini abbiamo troppe distrazioni

5 – Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura

6 – Trasformare il libro in uno strumento di tortura

7 – Rifiutarsi di leggere al bambino

8 – Non offrire una scelta sufficiente

9 – Ordinare di leggere


Gianni Rodari

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Fonte: Green Mind (gruppo facebook)

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Metadidattica: Qualche strumento di PRONTO INTERVENTO in classe

http://www.metadidattica.com/2012/10/20/qualche-strumento-di-pronto-intervento-in-classe/
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Fonte: Controscuola (gruppo facebook)
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Il Paradigma scolastico...
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"Ai professori che ogni giorno si apprestano a dare giudizi sulle capacità intellettuali dei loro allievi un invito a riflettere prima su quanta educazione emotiva hanno distribuito, perché, a loro stessi almeno, non possono nascondere che l'intelligenza e l'apprendimento non funzionano se non li alimenta il cuore." (da "L'ospite inquietante", di Galimberti)
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Manes, scuola pubblica non statale ad Ostia:
http://www.youtube.com/watch?v=PxbDesKpGs4&desktop_uri=%2Fwatch%3Fv%3DPxbDesKpGs4&app=desktop
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Modi alternativi di apprendere la grammatica:
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Come insegnare ai ragazzi a odiare la lettura

1 – Presentare il libro come una alternativa alla Tv
2 – Presentare il libro come una alternativa al fumetto
3 – Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più
4 – Ritenere che i bambini abbiamo troppe distrazioni
5 – Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura
6 – Trasformare il libro in uno strumento di tortura
7 – Rifiutarsi di leggere al bambino
8 – Non offrire una scelta sufficiente
9 – Ordinare di leggere
Gianni Rodari

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dal gruppo facebook: Oggi Corro Anch'io
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Una maestra, dopo aver consegnato le schede di valutazione ai genitori, scrive queste riflessioni sul voto nella sua bacheca:


"Non sono stata capace di dire no. No ai voti. Alla separazione dei bambini in base a quello che riescono a fare. A chiudere i bambini in un numero. Ad insegnare loro una matematica dell’essere, secondo la quale più il voto è alto più un bambino vale.
Il voto corrompe. Il voto divide. Il voto classifica. Il voto separa. Il voto è il più subdolo disintegratore di una comunità. Il voto cancella le storie, il cammino, lo sforzo e l’impegno del fare insieme. Il voto è brutale, premia e punisce, esalta ed umilia. Il voto sbaglia, nel momento che sancisce, inciampa nel variabile umano. Il voto dimentica da dove si viene. Il voto non è il volto.
I voti fanno star male chi li mette e chi li riceve. Creano ansia, confronti, successi e fallimenti. I voti distruggono il piacere di scoprire e di imparare, ognuno con i propri tempi facendo quel che può. I voti disturbano la crescita, l’autostima e la considerazione degli altri. I voti mietono vittime e creano presunzioni.
I voti non si danno ai bambini. In particolare a quelli che non ce la fanno.
La maestra lo sa bene, perciò è colpevole. Per non aver fatto obiezione di coscienza."

Il "maestro" Manzi riportava nella scheda di valutazione di tutti gli studenti la stessa formula: "Ha fatto quel che può, quel che non può non fa".

Fonte: Maurizio Parodi (tramite facebook)

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Dalla parte del professor Lucignolo

Un manuale per capire quel che c’è dietro i brutti voti. E cambiare metodo d’insegnamento

Fonte: Corriere della Sera (15-04-2014)

Lucignolo ha fatto strada. Tanto per cominciare, si è trovato un buon avvocato: il Checco. Del quale scarseggia un’iconografia ufficiale, perché se n’è sempre restato nell’ombra, alle spalle della sua controfigura: un maturo, rispettabile professore, dal viso rotondo e cordiale, capace di scardinare in poche battute le difese del più ostico degli «adolescenti ingrati». Loro non amano i banchi di scuola? Sapessero quanto poco li ha amati lui! Loro fanno impazzire insegnanti e genitori? Bazzecole, in confronto alle imprese fanciullesche del Checco, che, per chiarire fin dal principio la sua opinione dell’autorità costituita, si presentò al mondo in posizione podalica. Sessantasette anni fa.
E se non tutti i docenti osano ammettere la loro insofferenza dinnanzi alla tirannia dei programmi scolastici ministeriali, e alla relativa, inflessibile tabella di marcia, il Checco non si fa problemi: «Che palle, li odio!». A nove anni, in quarta elementare, forse non si sarebbe azzardato a esprimersi così direttamente, ma riuscì comunque a persuadere il maestro Giorgio a organizzargli addirittura «un piano personalizzato di lavoro», per consentirgli di sviluppare il suo talento naturale per il disegno. A metà degli anni Cinquanta il suo futuro era tracciato. Il destino di molti altri Lucignoli a venire, anche.
Non sarebbe diventato un pittore di professione, ma un sagace vignettista al servizio del libero pensiero, di una bonaria irriverenza; e di una mai dominata ribellione alle imposizioni, ai dogmi e, vivaddio, ai derivati tossici del nozionismo. Due anni esatti dopo il primo successo editoriale, Cercasi scuola disperatamente (Urra, 2012), torna il professor Francesco Dell’Oro con i suoi racconti su «le ragioni del disagio scolastico e come aiutare i nostri ragazzi a superarlo». Riunite sotto un titolo che non concede dubbi quanto alla parte dalla quale il professore ha scelto di schierarsi: La scuola di Lucignolo (Urra).
Ma stavolta Dell’Oro non si limita a raccontare le sue esperienze, tristi, problematiche o — più raramente — esilaranti, come responsabile del servizio orientamento scolastico del Comune di Milano (che nel frattempo ha deciso meccanicamente di pensionarlo): dedica un capitolo anche alla «storia di Checco», che i tanti ragazzi, passati ogni anno dal suo ufficio, hanno in molti casi già appreso, almeno in parte. Di solito basta qualche capitolo, all’imprevedibile professore, per farsi aprire le porte di un territorio sconosciuto, o dimenticato, dagli adulti: «la Terra degli Adolescenti», come la definisce lui. Un pianeta che segue un’orbita tutta sua: «Lontano o, peggio, in rotta di collisione con il mondo della scuola, il mondo della famiglia e quello del lavoro», scrive, amaro, Dell’Oro.
Un pianeta che può trasformarsi, soprattutto, in una impenetrabile torre d’avorio: «I grandi — avverte il professore — usano il linguaggio delle parole. I ragazzi, quello delle emozioni. È un problema di comunicazione. Per entrare in sintonia con loro devi emozionarli, divertirli, appassionarli. Funziona. Indipendentemente dall’età. Funziona anche con gli insegnanti, quando tornano sui banchi, studenti ai corsi di formazione». Funziona con i genitori, agli incontri e alle conferenze dove Dell’Oro continua, da volontario indipendente, la sua missione: «Alla fine, una volta, mi ha avvicinato una mamma — ricorda Dell’Oro — e mi ha detto: ho riso per due ore, ma adesso sono preoccupatissima. Ero riuscito nel mio intento».
Le avventure di Checco sono sempre un buon grimaldello per far abbassare il ponte levatoio del Castello degli adolescenti, precluso ai genitori e alla maggioranza degli insegnanti. Anche lui è stato vittima di valutazioni affrettate, giudizi respingenti e deleterie bocciature. Ma anche lui ha conosciuto il sollievo di incontri felici: come «il prof. Giulio B. Un formatore con una dote rara: sapeva ascoltare e non giudicava mai».
Gli studi classici e di filosofia in un istituto religioso, il diploma in servizio sociale, con un’esperienza in un ospedale per anziani, gli studi di fisiopatologia con una tesi sull’epilessia, l’insegnamento in scuole speciali e nei corsi di alfabetizzazione, una laurea come esperto dei processi formativi: quale adolescente incerto e ondivago tra inclinazioni personali e pressioni familiari, al momento di optare per gli studi superiori, non si sente rassicurato da un simile modello di variabilità? «Ci sono buoni motivi, ripensando alla mia esperienza e a quella di molti altri adulti, per riflettere sull’imponderabilità dei processi di maturazione e di crescita professionale — scrive l’autore —. Con particolare riferimento alla difficoltà di intercettare potenzialità, attitudini e competenze di uno studente definito, troppo superficialmente e semplicemente, come uno che non studia».
Vero. Dell’Oro parteggia (quasi) sempre per loro, gli studenti difficili. O in difficoltà, che talvolta è la stessa cosa. Lo ammette. Poca comprensione per i professori che devono seguire o concludere un programma. Moderata pietà per le ansie dei genitori dalle aspettative insoddisfatte. «Ma di che scuola stiamo parlando? La scuola per quelli bravi? È questo che vogliamo? Una scuola che escluda tutti gli altri?». I voti. I voti fanno impazzire Dell’Oro: «È giusto che i ragazzi imparino a misurarsi con le frustrazioni, ma un sistema di valutazione deve avere anche un respiro pedagogico. Ognuno di noi ha un percorso di crescita». Invece per 800 mila ragazzi italiani fra i 18 e i 24 anni, ricorda il professore, quel percorso si è interrotto. Non sono andati oltre la scuola media. Fermati dai brutti voti.
«La scuola a cui pensa Dell’Oro, che molti di noi vorrebbero veder trionfare — sottoscrive un altro scrittore, Eraldo Affinati, nella prefazione —, dovrebbe essere il luogo elettivo dell’errore. Altrimenti Lucignolo non tornerà più in aula e resterà sempre nel Paese dei Balocchi». Magari resterebbe, se invece di ricevere un 4 sentisse dire, come dice Dell’Oro: «Questa cosa non la so nemmeno io. La cerchiamo insieme?».
I brutti voti, ma anche i tempi: «Negli anni Cinquanta imparavamo a leggere e a scrivere in tempi più distesi», rammenta il professore. Che pubblica, come un manifesto, il grido di dolore di Giovanni, moderno Lucignolo: «La scuola è una palla. Ho capito che è importante, ma almeno rendetela divertente!». Come? «Meno compiti a casa, e più laboratori — rivendica l’epigono di Checco —. I bambini hanno diritto di giocare». Chissà che anche Giovanni non diventi un giorno un professore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Fonte: Come nasce una mamma (gruppo facebook)



Sculacciare per punizione?
Un recente studio dell’Università di Montreal, pubblicato sul Journal of Adolescence, ha fatto emergere che i genitori italiani sono fra i più severi, più di canadesi e francesi, e tra quelli che sanno esercitare un controllo maggiore sui loro ragazzi.
Inoltre si scopre «che le madri italiane non sono affatto le più affettuose e disposte sempre a perdonare i loro pargoli». Le madri italiane, anzi, menano più dei padri.
Il Washington Post dei giorni scorsi riportava un articolo sulle “punizioni tecnologiche”, nuova frontiera dell’educazione digitale americana. Il 62% dei genitori davanti ai brutti voti, confiscano i cellulari, chiudono le pagine di Facebook, tolgono i cavi della Playstation, perché per le generazioni digitali la priorità non è sempre uscire con gli amici, ma soprattutto essere insieme virtualmente. Essi tolgono ciò che i ragazzi più vogliono, sembrerebbe una specie di educazione indiretta.
I ceffoni sono sicuramente diminuiti, ma le urla e il tono rancoroso sono in aumento. Spesso i ragazzi urlano tra di loro e hanno scoppi d'ira sfogati poi in strilli proprio come i genitori. Non a caso il New York Times titolava in prima pagina “For Some Parents, Shouting Is the New Spanking”“Per alcuni genitori gli strilli sono la nuova sculacciata”.
Peccato che si parte urlando, si passa allo scappellotto e alla fine “vince” (si fa per dire) sempre il bambino. Il problema è che il rapporto tra genitori e figli è sempre più appesantito dai sensi di colpa. Infatti sempre più spesso i genitori sono fuori per tutto il giorno e i figli lasciati, nella migliore delle ipotesi, ai nonni. Poi, una volta rientrati alla fine della giornata, i membri della famiglia non si ritrovano: il padre è davanti alla tv, la sorella maggiore manda messaggi, il fratello gioca con la Playstation e la cena è un optional.
Io devo ammettere che il mio modo di far rigar dritto i miei figli è molto cambiato nel corso degli anni.
Sono cresciuta in un ambiente rigido e severo, di ceffoni ne ho ricevuti solamente un paio, ma i ricatti psicologici e il “ti tolgo questo o quello” la facevano da padroni.
Quindi all'inizio della mia carriera di mamma usavo spesso il “time out”, ovvero “fuori gioco”, facendo fermare mio figlio a pensare a quello che aveva fatto per qualche minuto. Qualche pacca sul pannolino l'ho data (e mi costa ammetterlo) nei momenti di grande stanchezza, mentre urlare non è da me. Il “ti tolgo questo se continui…” con un bambino di 2 anni funzionava poco…
Poi grazie al cielo ho smesso di ripetere le azioni che avevo un tempo subito, ho smesso di fare così come fan tutti e ho iniziato a osservare mio figlio, a capire cosa si celava dietro a quei comportamenti difficili. Non so esattamente spiegare cosa sia accaduto, ma ora che di figli ne ho tre mi capita raramente di dover fare la voce grossa. Sicuramente ho intrapreso un vivace e costante dialogo con i miei figli fin da piccolissimi. Parliamo di quello che ci accade in prima persona e commentiamo avvenimenti a cui siamo stati testimoni fuori dalle mura domestiche. Per esempio se assistiamo ad un litigio tra bambini o ad una punizione, poi a casa ne riparliamo facendo ipotesi su quale sia stato il vero motivo del litigio, ci chiediamo se fosse giusto comportarsi in quel modo oppure riflettiamo sullo stato d'animo del genitore che ha inflitto la punizione e del bambino che l'ha subita. Facendo così ho imparato molto dai miei figli. I loro commenti mi hanno aiutato a vedere il mondo attraverso i loro occhi.
Così mi sono trovata a fare discorsi tipo questo, con mio figlio più grande quando aveva tre anni e mezzo:
“Quando mi sgridi mi spavento molto e penso che non mi ami più.”
“Scusami se ti sgrido, lo faccio perché tu non mi ascolti e io non so più cosa fare per avere la tua attenzione.”
“Scusami se non ti ascolto, ma a volte è più forte di me.”
“Lo sai che ti voglio sempre bene, anche quando ti sgrido. Dirti cosa è sbagliato fa parte del volerti bene. Se ti ignorassi non sarebbe giusto, non trovi?”
“Si, lo so. Tu non urlare e io non faccio più le cose brutte.”
“E' un patto? Va bene!”
“Va bene, buona notte.”
Abbiamo poche regole, ma le osserviamo tutti. Sono sempre più convinta che le punizioni, di qualsiasi genere esse siano, non servano a nulla. Sono cosciente del fatto che questa sia un'affermazione forte, ma io sto imparando dall'esperienza e ho constatato che ceffoni e urla non aiutano ad educare. A volte punire dà risultati positivi nell'immediato, ma sono solo superficiali, comunque il rancore di essere stati puniti riaffiorerà e causerà ulteriori problemi in futuro. 
Fonte: http://www.controscuola.it/sculacciare-punizione/
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Una lezione di vita dal mondo del calcio:

L’ALLENATORE DI UN “BIMBO SCARSO” SCRIVE ALLA MADRE…

dal sito: http://www.cavalieridellaluce.net/sud/2014/01/28/english-lallenatore-di-un-bimbo-scarso-scrive-alla-madre/


Spesso si parla del’importanza dello sport durante il periodo dell’adolescenza, l’importanza del gioco di squadra, dell’appartenenza ad un gruppo, l’importanza della disciplina, delle regole, del rispetto.



Imparare a confrontarsi con se stessi e con gli altri. Accettare la sconfitta e gioire della vittoria collettiva. Ma quante volte capita di assistere sui campi di calcio, durante le partite, o semplici allenamenti a “pericolose” interferenze di qualche mamma o papà nei riguardi dell’operato dell’allenatore. A volte, anche con autentiche aggressioni verbali. Tanti, troppi a sperare in un figliolo “futuro” campione, dimenticando spesso quella che è la cosa più importante da mettere al centro di tutto. IL GIOCO. IL DIVERTIMENTO. IL RISPETTO DEGLI STESSI LIMITI DEI FIGLI (se mai ce ne fossero) . E DEI PUNTI DI FORZA O RAGAZZI DA ALLENARE. Senza mai farli sentire “nullità”, attaccando e rendendo fragile nel tempo l’autostima.


Spesso sbagliano anche tanti allenatori eh, ma ieri ho letto in rete questa lettera, vera lezione di vita di Mister Andrea Checcarelli, pubblicata sul sito della Real Virtus, destinata alla madre di un ragazzino non proprio tra i migliori della squadra (almeno tecnicamente) , diciamo pure “scarso”. La voglio condividere perchè condivido tutti i principi che essa vuole rappresentare.


Io non conosco questo mister, ma sono certa che “forse” anche Gesù avrebbe avuto questo approccio, umile, discreto e carezzevole. Tanto CUORE.


Paragone esagerato? Forse. Ma dove c’è un cuore che ancora riesce ad ascoltare, un cuore umile …che accoglie e mai allontana…CREDENTI O MENO….. Dio c’è :)


Grazie anche da parte mia.
Una lettera utile a tutti …


La Lettera


“Salve signora! Per me che ho allenato un anno suo figlio ,sapere che è sua intenzione quella di interrompere l’attività , e’ un piccolo-grande fallimento da allenatore.
Un fallimento non solo come tecnico, ma anche come persona, indipendentemente da quelle che sono le problematiche singole del bambino, della famiglia.
Non essere riuscito a coinvolgerlo a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all’interno della squadra , a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato ,a farlo considerare “più bravo” da se stesso, ma anche da sua madre..
Volevo comunque dirle che suo figlio non sarà stato il migliore fisicamente, tecnicamente, tatticamente….. ma eccelleva, era il più bravo, per la sua attenzione, per l’applicazione delle direttive dategli. Per il rispetto che ha sempre dimostrato nei miei confronti durante gli allenamenti ed alle partite.In questo era il migliore. E’ sicuramente il migliore, basta farlo continuare a giocare, se è quello che lui vuole!
Con tutte queste qualità umane, si può migliorare tantissimo, lavorando per colmare i suoi limiti .Glielo dice uno che, una volta , non aveva spazio a Passaggio di Bettona, nella squadra dei suoi amici e coetanei.
A 14 anni stavo per smettere, andai a giocare in un altro ambiente, a Cannara, e trovai il modo di esprimere al meglio quello che avevo dentro. Di migliorare, di vincere tante partite, tante quante ne avevo perse a Passaggio quando, oltretutto, non venivo molto considerato dall’ambiente e dal’ allenatore.
A Passaggio di Bettona ci sono tornato a 20 anni, dopo aver vinto anche un campionato juniores nazionale per squadre dilettanti, con il Cannara.
Ci sono tornato, perché m’ hanno cercato loro( evidentemente qualcuno non mi aveva considerato quanto meritavo in passato) ed ho giocato e vinto tanto.
Ho vinto anche un campionato anche a Passaggio, prima di infortunarmi e di smettere di giocare qualche anno fa ma smettere di giocare e’ una delle poche cose che cambierei del mio passato, glielo assicuro!
Anche perché nel calcio sono riuscito a dimostrare me stesso che con la passione ed il lavoro si possono ottenere grandi soddisfazioni personali,senza sotterfugi di sorta, in maniera pulita. Solo facendosi “un culo così”,insomma.
Aggiungo che le qualità che ha suo figlio, non sono assolutamente secondarie all’ interno di un contesto di gruppo. Cosi’ come e’ giusto cercare di educare, punire, ma non emarginare, un bambino dotato tecnicamente, ma maleducato, e’ altrettanto giusto permettere a che è dotato di altre qualità,e meno di altre, di potersi comunque esprimere.
Oltretutto in un contesto come la Real Virtus. Una società che offre un servizio alle famiglie ed ai bambini del posto,più per funzione sociale ,che per spirito competitivo, di vittoria,di primato.
E’ bello vedere che gli amici del paese, possano avere un luogo di ritrovo, per la propria crescita, visto che il nostro paese non ne offre di tantissimi.
Le qualità di suo figlio, sia nella vita settimanale del gruppo, che nella domenica di gara,s ono molto importanti per la squadra.
Anche per raggiungere quei risultati che, ogni tanto fanno bene al gruppo stesso. Perche’ suo figlio, soprattutto grazie a voi genitori e’ un bambino che è contento di giocare anche solo 5 minuti. Si impegna, col sorriso. Fa un po’ da contraltare rispetto a chi, dotato tecnicamente, gode della fiducia del mister, a volte, non meritandosela .E gioca magari controvoglia. Non so se c’era quando fece gol; io mi ricordo bene.
È stato molto bello vederlo esultare. Una scena quasi da film….chi l’avrebbe mai detto?Forse neanch’io,di certo….però il calcio e’ anche questo.
Se ha avuto quella piccola gioia, se l’e’ sudata tutta, suo figlio. Per questo è più bella! Non lo privi di quei 5 minuti se per lui sono importanti.
Alla squadra mancherebbe anche un genitore come te. In un contesto dove tutti gli animi sono esagitati,c’è maleducazione,esasperazione,persone che credono di essere mamma e papà di Messi, Maradona e Van Basten,la sua voce fuori dal coro ed il suo profilo basso,sono un esempio per gli altri genitori.
Ma forse, mi permetta di dirglielo,e’ un po’ troppo fuori dal coro. Talmente tanto che finisce per uniformarsi al coro stesso… se lascia perché suo figlio “e’ scarso”, diventa come quelli che credono di avere il figlio “forte” e sbraitano da fuori alla rete, peggio dei cani randagi, pretendendo spazio e importanza. E questa fine non se la meriterebbe, non la rappresenterebbe.
Nel calcio ci vorrebbero più bambini come suo figlio e più genitori come lei. Pensaci e pensateci,anzi:ripensateci!”

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